La scultura di Paola Staccioli
Un mondo che il sapere rende migliore
di Anita Valentini
«Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore»
Joseph Conrad
La scultrice Paola Staccioli, dopo aver esposto in varie città, ritorna a Firenze con una mostra personale allestita nello storico Palazzo del Pegaso, sede della Presidenza del Consiglio Regionale della Toscana, dove propone una raccolta di opere nuove: busti e corpi inediti, a cui si aggiungono i profili generosi o sottili delle figure umane che hanno reso celebre la sua arte, in una serie di sculture che ritraggono gli uomini e, soprattutto, le donne d’oggi.
Statue raffiguranti donne e uomini che leggono segnano il lavoro dell’artista, la quale entra in gioco con l’odierno vivere, ma anche con gli stereotipi artistici del passato, italiano ed europeo (fiammingo), in scultura, in pittura e nelle statuine di porcellana.
E se le donne lettrici nell’arte occidentale, dai secoli XVIII-XIX, erano le espressioni del binomio donna-cultura e, insieme, le effigi moderne della donna col libro per eccellenza, la Vergine Maria – cristiana Minerva – che trasmette il Sapere racchiuso nel Vecchio Testamento al Bambino, gli uomini lettori, come rivelazioni dell’intellettuale, più timidamente si sono concessi in arte. I nostri giorni, così disperatamente poveri e assetati di cultura, ripropongono tali iconografie, specialmente in Germania e in Inghilterra, con sculture, anche monumentali, in parchi, in giardini e in biblioteche.
Con Paola Staccioli alcune immagini, in piccolo e medio formato, di personaggi comuni, nati dalla strada e dalla sua fantasia, “timidi intrusi nel convito degli dei dell’arte”, ripetono i loro gesti di terracotta e focalizzano la loro attenzione su testi scritti, rivolgendo, al contempo, “lo sguardo della loro mente” a mondi oramai lontani, nello spazio o nella memoria.
Nella serie delle sculture di Lettori e di Lettrici, dopo tanto indugiare nella fantasia e nel gioco per oggetti e per figure, l’artista aggiunge nuove dimensioni alle sue sculture, grazie a una precisa e accurata scelta nel presentare una scena – nei particolari o nei colori – e a un consapevole uso del chiaroscuro, del lustro e del senso materico. I suoi personaggi sono occupati in un fare non contingente e limitato, bensì esteso alla lettura, inseriti in una sfera di perenne contemporaneità, che isola le immagini in un’autonomia compositiva, favorendo la concentrazione del riguardante su elementi formali che sanno di sovrarealtà.
Le sculture in refrattario o terraglia e lustro di Staccioli, anche se in dimensioni contenute, emergono maestose, per merito di un’intenzionale aura che le avvolge: un’atmosfera “di eterno presente”, fatto di pittura, di spatola e di granelli di materia, che blocca il vivere, non per proteggere l’azione in fieri, per nasconderla o per darne un’impressione di decadenza, ma per vivificarla in un’esaltazione di riconoscimento che il presente fa dell’eternità.
La sua materia è il segno del tempo attuale che, con evidente rispetto, presenta il suo “periodo precedente” e il suo “periodo futuro”.
La scena diviene spesso intima e privata; gli stessi soggetti si caricano di significati magici e simbolici. La sua è una visione emozionante, è il sentimento umano che attribuisce un senso all’agire, all’avvicinarsi alla parola scritta, che spalanca la mente verso un mondo di infinite possibilità. La lettura come medium alto per comunicare e il lettore come un attore sul palcoscenico della vita, desideroso di sapere.
Un lettore declinato, con più vitalità, al femminile.
Incontriamo donne inserite nella vita di tutti giorni, che testimoniano il cambiamento dei tempi e, insieme, un rapporto diverso con l’universo maschile; donne presentate in momenti intimi, mentre scrivono una lettera o leggono un libro; ragazze che lavorano e che diventano icone contemporanee in lotta per il sapere o per un mondo che deve tornare alla natura. Cultura e Natura: Staccioli cita la natura come se fosse un libro aperto da leggere ogni giorno, tanto che veste alcune delle sue figure di foglie e di fiori. Come gigli nei campi è il titolo di una scultura che raffigura una piccola donna seduta, con cui l’artista celebra la bellezza del Creato e racconta un verso del Vangelo di san Matteo: “Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano, eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro”(6:28). Motivi e poetiche che la scultrice movimenta da anni e che ha saputo rinnovare nel tempo, arricchendole di nuovi significati.
Le sue donne provano tutta la sfera dei sentimenti, anche i più semplici: la serenità e il piacere della lettura, la trepidazione di leggere una lettera in solitudine, forse al buio della propria stanza, la gioia delle piccole cose nel vivere quotidiano.
A noi queste donne e, con loro, questi uomini in terracotta si presentano in un luogo aperto, seduti su una panchina, e in spazi raccolti fra pareti domestiche, distesi su un divano, proni o supini a gambe all’aria, o, ancora, seduti su una poltrona o su uno sgabello o su una pila di libri, mentre stanno leggendo, da soli o in coppia, o hanno appena terminato di scorrere con gli occhi un libro… interpretano i tanti modi di leggere che un accorato Italo Calvino suggeriva ai lettori nell’incipit del suo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) e ci portano a pensare che fra non molto si alzeranno e andranno per il mondo, potendo incamminarsi con il bagaglio di pensieri e di letture che sono, ormai, loro parte imprescindibile. Ma poi che ne sarà di loro? Questo non lo sappiamo, speriamo che, percorrendo i sentieri del vivere, serbano nel cuore e nella mente la pace e il tormento che la cultura infonde.
Come piccoli diorami minimalisti in questi teatrini viene messa in scena la realtà del quotidiano in una rappresentazione intima e solitaria. La presenza di tali piccole sculture in terracotta è modernissima e, insieme, fuori dal tempo. In un luogo atemporale, carico di toni favolistici e arcadici, memore di un passato lontano e irraggiungibile, i lettori di Paola Staccioli nascono dall’esigenza di rivelare quello che si prova, nell’atto di leggere, a esplorare mondi, pensieri, culture: sono narrazioni o ampie notazioni che prendono spunto da quelle particolari emozioni che ella ha percepito istintivamente e che ha trasferito nelle sue sculture, dove narra poetici racconti, mediati dalla sua creatività.
Le effigi umane della scultrice vivono in un’atmosfera unica, che ci porta immediatamente in un mondo che rispecchia quel vivere fatto di giornate trascorse dall’artista nell’azione del leggere o nello studio a plasmare un’antichissima materia. La sua arte interagisce con impegnativi modelli, giocando talvolta per mezzo di pronunciati salti di scala o con una sorta di pastosa modellatura e aggiunge all’euritmia di una figura la magia di un’arcana apparizione.
Le sculture di Staccioli in refrattario e lustro, la cui materia dai toni lirici in chiaro si accompagna, in alcuni lavori, a una policromia vivace, sono inconfondibili. La sensazione che trasmettono é la consapevolezza di essere osservate, mostrandosi tuttavia incuranti degli sguardi di ammirazione, indifferenti alle lusinghe, sole con i loro pensieri, in un mondo reale purificato dal male e, dunque, già ideale; appagate e generose desiderano restituircelo… ripulito dal loro vivere, dal loro patrimonio di conoscenze, dal loro amore.
Ammettiamolo: il lato seducente della scultura dell’artista fiorentina non consiste nella ricerca della bellezza fine a se stessa, quanto nel “dato filosofico” che la avvolge; ognuna di queste figure o piccole installazioni ci invita a riflettere, si interroga e ci interroga sul nostro tempo e sulla cultura e sulla natura nostre o che agitano il mondo che gravita attorno a noi.
Queste sculture interpretano il vivere e la bramosia di sapere e, insieme, il passaggio – loro e nostro – a un’età diversa e non ancora definita, passaggio che rimane bloccato in una sorta di attesa sospensiva. È in questa dimensione, che sarebbe banale definire di sogno, ma che con il sogno ha in comune, appunto, la sottrazione del riferimento temporale – il sogno non è né attualità (essendo vecchi possiamo sognare di essere giovani), né memoria, ma semmai illusione della memoria – che si realizza il “sentire classico” della Staccioli, come reintroduzione non di un periodo dell’arte, ma di un archetipo, di un elemento che per l’appunto è fuori dal tempo, di un mito, il mito della cultura come mito perennemente presente. E l’illusione, sostanza sublime della poesia, è inerente al sogno e al mito.
L’opera scultorea di Staccioli non sollecita tanto la memoria, quanto, suggestionandola di poesia, la illude: la illude che i ricordi non siano tali, ma siano palpito d’attualità.
I dettagli di una veste da giorno, di un sofà ordinario o di un plaid accompagnano le plastiche figure, irrequiete e misteriose. La loro stranezza, nelle silhouettes troppo magre o troppo grasse, troppo lunghe o troppo corte, e la loro piana vitalità ci invitano a pensare a quanto questo appartenga all’umano. E l’umano viene continuamente ridefinito ed eternato dall’artista, sempre su di una base classica.
Ogni nuova generazione scopre l’umanità nel classicismo.
La parola non detta integra nel mistero quella detta e interrotta, e il mistero della parola non detta è come velo che velando l’immagine ce la fa apparire perfetta, la trasforma in idea di perfezione. I lustri che avvolgono “le sculture di parole lette” hanno questa stessa funzione di mistero, di silenzio sigillato.
Il non detto è silenzio, ed è il silenzio, appunto, a cingere i volumi che così ovattati scorrono, perfettamente lubrificati nella luce che non fa attrito, ma corpo con le loro superfici.
Theodor W. Adorno sosteneva che classicismo e interiorità sono prodotti del passato; Staccioli dimostra quanto siano, in realtà, delle necessità intrinseche mai dimenticate, che rendono la vita – soprattutto la vita contemporanea – più tollerabile. L’umanità che legge della scultrice sembra volerci ricordare che la cultura è l’unica religione per essere vivi “per sempre”… la fede nel sapere risuona nel suo – nostro – mondo, come il monito di un saggio che ci permette di uscire dal blocco costruttivo della prigione in cui ci siamo rinchiusi, perché dimentichi della bellezza e dell’equilibrio spirituale.
La sua è una visione della vita che va ben oltre la cruda essenzialità e mostra un nuovo sguardo puro e fragile: un meraviglioso esempio di esistenza – resistenza – umana.
La scultura di Paola Staccioli non rappresenta il racconto del quotidiano, bensì il recupero del “senso della storia”. Per tale nobile fine, quale fonte d’ispirazione e teatro dove esprimersi, Firenze non può che essere luogo ideale.